(E' tutto vero!) Una mattinata dal cielo plumbeo ma dalla temperatura accogliente. Aprile 1984. Chi veleggia nei pressi della quarantina, quella primavera romana ce l'ha stampata nel dna. Sportivamente parlando, una volata mozzafiato compresa tra la vittoria in Coppacampioni del Bancoroma di Larry Wright e quella vigorosa certezza che la Roma di Falcao avrebbe giocato la finale all'Olimpico travolgendo qualunque avversario. Ovunque nella Capitale, un'atmosfera euforica, un senso di sfrontatezza giovanile, gagliardia, l'idea che tutto fosse possibile.
In quella mattinata plumbea la squadra di calcetto della mia classe, la Va B dell'Arangio Ruiz, all'Eur, sezione sperimentale, s'aggiudicò il torneo scolastico in una memorabile finale giocata contro la Va E, sezione tradizionale. Fu, quella partita, l'ultimo incontro di una trionfale cavalcata che ci vide vincere tutti i match, da quelli del gironcino di qualificazione alle sfide ad eliminazione diretta, compresa la finale. Che io non disputai, relegato in panchina. I miei compagni (alcuni a tutt'oggi tra i miei amici più cari) non mi fecero giocare. Non mi permisero di entrare in campo, nonostante gliel'avessi domandato a raffica, neanche a qualche istante dalla fine, con il risultato di 5 a 3 saldamente in mano nostra. Chiariamo: non che avessero tutti i torti. Il mio amore per il pallone (fortissimo) è sempre stato inversamente proporzionale al talento pedatorio. E nelle «tocche», sin da bimbetto, sono sempre stato l'ultimo a essere scelto. Con questo, qualche merito, seppur indiretto, al raggiungimento della finale lo posso rivendicare comunque. Intanto, in una partita di qualificazione sostituii per un tempo il portiere infortunato, Gianluca Greco, allora imprendibile tennista-sciupafemmine e oggi sposatissimo dipendente Alitalia e vi ho detto tutto... Vabbè, non c'entra niente che fossimo già qualificati matematicamente: in ogni caso vincemmo largamente, mi pare per 8 a 0 e io non presi gol. Nei quarti, poi, giocai per i 5 minuti finali in difesa (anche lì, eravamo sul 4 a 0...) guadagnandomi la pagnotta. Dalla panchina, aggiungo, mai polemizzai per sollecitare più spazio. Il mio merito maggiore però fu di natura prettamente extra-calcistica, quando - con saggezza diplomatica - evitai che venisse rinviata la data della finale, programmata direttamente dal preside Antonio Marando, italianista che si piccava di essere in costante scambio epistolare con Montanelli il quale avrebbe corretto un'edizione della storia d'Italia dopo aver ricevuto una sua segnalazione sull'errata data di una battaglia. Il posticipo per noi sarebbe equivalso a un mezzo disastro. Dovete sapere che la Ve aveva tra i suoi giocatori un fuoriclasse vero, tale Massimo Bisonni, che stava alla pratica calcistica del Ruiz come Platini moltiplicato Van Basten sono stati al pallone mondiale. Qualcosa di stratosferico, insomma. Bisonni era un lungagnone alto e magro dall'aria furbissima, che divideva il tempo tra la squadretta in Promozione in cui militava diciassettenne e l'ippodromo di Tor di Valle dove piazzava solo scommesse vincenti. Dribblava gli avversari seminandoli come una farfalla e ricordo d'averlo visto maramaldeggiare nella partita inaugurale del torneo (onore che toccava alla Ve, i campioni dell'anno precedente) segnando da metà campo con un'incredibile rabona. Se avessero filmato la scena, oggi il video starebbe su Youtube, nella rassegna dei gol più belli. Per noi, Massimo era un incubo. Con lui in campo eravamo certi che le chances di vittoria sarebbero state prossime allo zero e nessuno se la sentiva di marcarlo, sapendo di andare incontro a figuracce. Ma a 3 giorni dalla finale accadde quello che non t'aspetti: Bisonni s'infortunò al piede. Chissà come (la verità esatta non volle mai rivelarla ma sembrava fosse legata a certe storiacce dell'ippodromo) si procurò una botta che lo obbligò a una fasciatura da tenere per almeno 3 settimane. Figurarsi noi che dispiacere... Alla notizia del suo stop fummo così risollevati che qualcuno in classe celiò piuttosto, suggerendo che forse la finale avrei potuto giocarla anch'io. Solo qualche minuto a fine gara naturalmente. Abbacchiatissimi, quelli della Ve ci chiesero un incontro per verificare la possibilità di posticipare la finale, consentendo a Bisonni il rientro. Ovvio che bisognasse stoppare il piano. Al «vertice» risolutivo andai io - ero il rappresentante di classe e avevo l'aria per bene - accompagnato da Marco Barchiesi, tostissimo spinacetense e capitano della squadra, detto il «Cicciopotamo» per le sue dimensioni, diciamo così, tutt'altro che esili. Per convincere gli avversari dell'impossibilità di spostare in avanti la finale inventai una balla sesquipedale. Dissi loro che il rinvio non si poteva fare per decisione del preside, preoccupato perchè se il derby fosse giunto in prossimità degli esami di maturità ci saremmo tutti deconcentrati, a danno degli studi. Quelli della Ve piuttosto perplessi corsero da Marando a chiedere spiegazioni. Coraggiosamente li seguii, terrorizzato dalla figuraccia che avrei rimediato una volta scoperto il mio bluff. Però con sommo stupore m'accorsi che la panzana era colossale al punto tale da convincere anche il preside ad averla pronunciata. «Ma immaginate se Paolo Rossi si fosse infortunato prima di Italia-Germania - fu il rimprovero indirizzato ai nostri avversari piagnucolanti - credete che i tedeschi avrebbero rinviato la finale? No, e traete un insegnamento da questa difficoltà: date il meglio che potete anche senza Bisonni. Ricordate però: prima di tutto viene lo studio». Con questo autorevole viatico, ci accingemmo a disputare la finale. Io in panchina, naturalmente. Senza il fuoriclasse della Ve in campo, la partita si mise subito bene. Arrivammo sul 3 a 1, sicuri di vincere. Loro ebbero un guizzo che li portò sul 3 pari. Noi poi bloccammo il risultato sul 5 a 3. Ricordo come fosse oggi alcuni gesti d'eleganza tecnica di Alberto Sabatini (alcuni li potete vedere nelle foto), il nostro imprendibile Platini, che tirò al volo quasi dalla bandierina del corner un pallone come anni dopo vidi fare solo da Van Basten in Olanda Russia... e Paolo Cavini (il Cabrini della classe, anche per quel «non so che» apprezzato dalle donne) legnare di controbalzo da fuori area il 4 a 3 che se ci riprova 10 mila volta non ci riesce più. Daniele Pezzetta (lo chiamavamo Pezzay... il roccioso stopper della nazionale austriaca nel 1982) insuperabile a presidiare la nostra area. E il 5 a 3 siglato da Paolo Matarrelli, una specie di Gerd Muller costantemente appostato davanti alla porta, che per segnare letteralmente s'avvinghiò a un pallone vagante davanti alla porta capitombolando in rete. A due minuti dal fischio finale, incominciai a mostrarmi a bordo campo... «ehi ci sono anch'io...». Speravo che, come Causio paternamente spedito in campo da Bearzot a 30 secondi dalla festa del Bernabeu, qualcuno s'addolcisse, «massì... un po' di gloria te la sei meritata pure tu...». Invece niente. Implorante, guardai Alberto (che era pure mio compagno di banco...), Daniele, i due Paolo, Gianluca, Luca Roccamo (la coriacea anima della squadra, il Passarella che ci trascinò alla vittoria) e Marco. La risposta che ascoltai fu invariabile: «Si Ale... dope». E quel «dope» - qualcuno lo ricorderà - faceva parte dello slang capitolino dell'epoca, e significava «sta' a sentire: simpaticamente, mai...». Al fischio finale fu la bolgia. La bombonera del Ruiz, spalto sperimentale, invase il campetto. Le ragazze corsero ad abbracciare e a baciare i campioni... Rammento con nitidezza una della Vc - sezione linguistica, tutte donne in gran parte tremendamente gnocche - molto molto bella, una specie di sogno proibito scolastico, che mi si avvicinò, fece per stringermi salvo ritrarsi d'improvviso. E gelida aggiunse: «Mannò, tu mica hai giocato...». E andò a baciare qualcun altro. Fine. Ecco, cari amici e miei indimenticabili compagni di classe e di squadra... se oggi questo revival scritto e fotografico pubblicato qui su Facebook poco poco vi emoziona e vi riporta ai bei tempi andati... beh, un grazie potreste indirizzarmelo. Possibilmente non dope...
Nb: le spettacolari immagini allegate sono di Andrea Fedeli (Ruiz 1983), altro mio carissimo amico che quel giorno tornò apposta a scuola per fare le foto. Il grazie è estensibile anche a lui, altrimenti di quel giorno non ci resterebbe altro che quanto conserviamo nella memoria...
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