... all'undicesimo della ripresa eccolo scendere agevole e felpato sulla fascia sinistra, si avvita su se stesso, esegue un loop, dimentica la palla quattro passi indietro, ma la aspetta sicuro e beffardo... eccola, è tra i suoi piedi, fresca, tonda, soda... ma un vuoto di memoria lo induce alla riflessione: perchè stava lì quella fresca sera autunnale, in mutande e maglietta, sudato e puzzolente? Attorno a lui volti sconosciuti lo incitavano: "e passa sta cazzo de palla!!!!! ma che 'tte sei rincojonito??" Non li conosceva, non sapeva perchè lo chiamavano e lo ingiuriavano, gli urlavano dietro frasi irripetibili. Poi un intervento a forbice del terzino destro lo riportò alla realtà: la contusione e la distorsione conseguenti all'intervento assassino gli dolevano, certo; ma era tornato!!!! Era di nuovo in campo, anche se i suoi compagni lo avevavo scalciato fuori dalla riga bianca, all'altezza del corner, per non intralciare la ripresa del gioco. Ma era tornato. Si rialzò faticosamente, squassato dal dolore e nell'insofferenza di tutti gli altri mutandati. Camminava a fatica e gli occhi gli si riempirono di lacrime: erano di gioia. Stava finalmente riassaporando l'emozione dei dolori da footbal: guadagnò la panchina in preda all'euforia e una volta seduto iniziò a massaggiarsi la caviglia; erano anni che non assaporava queste gioie. Si leccò l'abrasione come un cane. Poi salutò tutti, si diresse verso la doccia ma non lo rivide più nessuno.

martedì 2 dicembre 2008

Il “Trauma” come oggetto di studio


Non si può negare che, ormai da molte settimane, si sia diffusa tra molti ortopedici una sorta di “suggestione” verso i metodi qualitativi applicati alla traumatologia empirica e, molto spesso, la sperimentazione di nuove piste teoriche si affida, in modo particolare, alla “storia di vita” come fonte e specchio di informazioni su un vasto spettro di patologie sociali.
Questa nuova direzione della ricerca, che personalmente ho già avuto modo di sperimentare dalla fine degli anni settanta, analizzando un gruppo di Primari interparentali composto da italiani autoctoni non emigrati all’estero, ha sollecitato da tempo, la ripetizione di uno studio empirico della traumatologia ortopedica.
Molti di questi studi adombravano la possibilità che, scelte di campi errati e politiche tattiche quanto meno poco mirate rispetto alle singole virtù, avrebbero dato il via, in maniera massiccia, ad un fenomeno di traumatologia epocale nelle manifestazioni amatoriali. Nulla venne intrapreso come prevenzione e quanto era stato predetto avvenne puntualmente ed ininterrottamente. Per oltre dieci partite, infatti, le decine di vetusti atleti furono costretti quasi all’indigenza e a trasferirsi all’estero, disperdendosi in molti casi per sempre, per motivi di lavoro dovuti all’inattività forzata da trauma.


Moltissime furono le indagini di comunità, pare alcune centinaia; tra le tante ricordiamo per la loro intrinseca complessità quelle di Monterisi, di Cinti, di Giovannoni, di Filiagi fino a Valia ed Il Pasticciere.
Tra le numerose ricerche di comunità quella dell’antropologo Ascioti sui comuni montani della Sila a cavallo delle province di Cosenza e Catanzaro, è stata giudicata da molti studiosi un lavoro di particolare interesse per avere l’autore costruito, da un lato un percorso di analisi basato sull’osservazione partecipante del trauma e sull’uso di un preciso schema concettuale distorsivo, e dall’altro per avere fatto sapientemente interagire dati storici, geografici, economici e demografici, tutti inseriti in una griglia “spazio-temporale”ed analizzate con le categorie dell’antropologia concettuale e dell’ortopedia empirica.

Augusto Druso



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