Non si può negare che, ormai da molte settimane, si sia diffusa tra molti ortopedici una sorta di “suggestione” verso i metodi qualitativi applicati alla traumatologia empirica e, molto spesso, la sperimentazione di nuove piste teoriche si affida, in modo particolare, alla “storia di vita” come fonte e specchio di informazioni su un vasto spettro di patologie sociali.
Questa nuova direzione della ricerca, che personalmente ho già avuto modo di sperimentare dalla fine degli anni settanta, analizzando un gruppo di Primari interparentali composto da italiani autoctoni non emigrati all’estero, ha sollecitato da tempo, la ripetizione di uno studio empirico della traumatologia ortopedica.
Molti di questi studi adombravano la possibilità che, scelte di campi errati e politiche tattiche quanto meno poco mirate rispetto alle singole virtù, avrebbero dato il via, in maniera massiccia, ad un fenomeno di traumatologia epocale nelle manifestazioni amatoriali. Nulla venne intrapreso come prevenzione e quanto era stato predetto avvenne puntualmente ed ininterrottamente. Per oltre dieci partite, infatti, le decine di vetusti atleti furono costretti quasi all’indigenza e a trasferirsi all’estero, disperdendosi in molti casi per sempre, per motivi di lavoro dovuti all’inattività forzata da trauma.
Tra le numerose ricerche di comunità quella dell’antropologo Ascioti sui comuni montani della Sila a cavallo delle province di Cosenza e Catanzaro, è stata giudicata da molti studiosi un lavoro di particolare interesse per avere l’autore costruito, da un lato un percorso di analisi basato sull’osservazione partecipante del trauma e sull’uso di un preciso schema concettuale distorsivo, e dall’altro per avere fatto sapientemente interagire dati storici, geografici, economici e demografici, tutti inseriti in una griglia “spazio-temporale”ed analizzate con le categorie dell’antropologia concettuale e dell’ortopedia empirica.
Augusto Druso
0 commenti:
Posta un commento